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Recensione SCOOP ⋆ MOOKS Entertainment
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Recensione SCOOP

Recensione Scoop

Recensione SCOOP

Enrico Franceschini, classe ’56, corrispondente per “la Repubblica” da New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e Londra, mette in scena uno spassosissimo romanzo di formazione e iniziazione quasi goliardico/militare al mestiere di giornalista.

Così lo sprovveduto giovane cronista di provincia si ritroverà sbattuto suo malgrado e grazie ad un equivoco dettato dall’omonimia, nel mondo reale della vita da inviato – quello pre digitale, fatto ancora di Olivetti, fax e code per le interurbane ‒ dove l’idealismo del pivellino di primo pelo cederà presto il passo alla ben diversa realtà, fatta di finti scoop, di bufale colossali, di cameratismo/nonnismo di colleghi smaliziati, di note spesa gonfiate, di bella vita a bordo piscina di lussuosi alberghi a cinque stelle, di mignotte e cocktail esotici. Realtà che però fatalmente alla fine finirà per trasformarlo non soltanto in un vero giornalista con tanto di pelo sullo stomaco, ma sopratutto in un vero uomo. Perché nonostante tutto lo scoop ci sarà e trasformerà per qualche mese un tranquillo paradiso caraibico nel centro nevralgico del mondo. Un romanzo capace di raccontare tutti i vizi, le malizie, i retroscena ma anche le virtù, i pregi e persino l’eroismo di un mestiere che, sopratutto in quegli anni, non poteva non affascinare sia chi di quel sogno avventuroso ne ha poi fatto una professione, sia chi ne ha goduto soltanto il prodotto finale, ignorandone i dietro le quinte, qui deliziosamente svelati. Un romanzo che parte da L’inviato speciale di Waugh per raccontarci uno dei più antichi e affascinanti mestieri del mondo. Perché il giornalismo rimane in fondo, come insegna ad Andrea un suo vecchio e saggio collega, “ […] il più grande divertimento che puoi avere con i calzoni addosso”.

Alla fine e nonostante tutto, ha deciso di dargli una mano. La contessa Matilde Valera del Dongo tra un Don Pérignon e un altro ha ascoltato quasi stancamente l’ex giovane e promettente scrittore, ex sessantottino oramai prossimo al baratro del dimenticatoio, nonché ex amante fugace dei bei tempi che furono Andrea Muratori lagnarsi di quanto la vita a Milano oramai gli stia stretta, non gli dia più stimoli e di quanto sarebbe bello e formativo per lui poter arricchire la sua carriera con un’esperienza dal vago sapore hemingwayiano magari come inviato e cronista di guerra in qualche esotico e selvaggio angolo del mondo.

Si affretta perciò a convocare Alberto Massari, direttore di uno dei più noti quotidiani milanesi e nazionali raccomandandogli di spedire Muratori come inviato a Cusclatàn, una piccola repubblica centroamericana dilaniata pare da un orribile conflitto interno. Massari abbozza ben sapendo che in fondo quello che conta davvero in un giornale son sempre la politica interna, lo sport e la nera. Neanche il suo caposervizio, pensa, troverà molto da ridire se mandiamo in uno sperduto paesino caraibico un giornalista sconosciuto e alle prime armi.

Già perché a essere convocato per quella improbabile trasferta di lavoro è si Andrea Muratori, ma quello sbagliato. E così Andrea ‒ giornalista sportivo appena sbarcato nella mega-redazione milanese prima ancora di rendersi conto di quello che realmente gli sta succedendo, si ritrova in business class, direzione Città del Messico…

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